Mese: Gennaio 2023

Consultazione e psicoterapia con l’adulto

Quando un adulto consulta uno psicologo la scelta è dettata da uno stato di soffernza che può essere scatenata da diversi eventi o cause: un insuccesso lavorativo, la fine di una relazione, uno stato di isolamento, sfiducia e disistima di sé. La necessità puo essere quella di superare un ostacolo momentaneo oppure quella più a lungo meditata legata ad un’esigenza sempre crescente di approfondire aspetti di sé e del prorio passato che si ritiene abbiano un peso nel determinare quella soffernza. Spesso ci si aspetta di uscire il prima possibile da uno stato di sofferenza e nel modo più indolore possibile ma la soffernza psicologica richiede un minimo di pazienza, tempo e ripetizione per essere affrontata . Non ci sono soluzioni magiche  ma insieme al terpaueta occorre attingere alle proprie capacità riflessive per trovare nuovi significati che spieghino quello stato di sofferenza a partire dal porsi alcune domande su di se:

  • Cosa mi fa stare male ?
  • Cosa mi impedisce di stare bene con me stesso e con gli altri?
  • Quando è iniziato il mio stato di sofferenza ?

Talvolta basta una fase di cosultazione per chiarirsi le idee  altre volte la paura di affrontare la soffernza legata a certi eventi e ricordi porta ad arretrare sotterrando i problemi. Spesso invece si sente l’esigenza di affrontare in modo più approfondito quella sofferenza. Per questo non si possono stabilire tempi e durata del percorso perché dipende dai nodi del proprio malessere e da quanto tempo siamo disposti a concederci per la cura della notra sofferenza. La tecnica della spicoterapia psicodinamica integrata con l’uso dell’emdr e molto utile e proficua per affrontare diverse tematiche.

Consultazione e psicoterapia con l’adolescente

L’adolescente avverte in pieno la tensione trasformativa in atto nella sua personalità, e di conseguenza percepisce e soffre dentro di sé la compresenza conflittuale di due componenti antitetiche mescolate: tante nuove scoperte ed esigenze adulte, confusivamente frammiste ai residui delle istanze e dei bisogni infantili.

Comprendere appieno questa realtà particolare è premessa indispensabile non solo per lo studio psicodinamico dell’adolescenza, ma anche e soprattutto per la scelta di una strategia psicoterapeutica che permetta di entrare in contatto con l’adolescente in crisi, superandone le forti resistenze difensive.

Cerchiamo dunque per prima cosa di vedere il mondo con gli occhi dell’adolescente, per poi avvicinarci meglio alla descrizione della sua realtà psicodinamica; nella quale occorre poi distinguere, per quanto è possibile, gli aspetti che potremmo considerare fisiologici della crisi adolescenziale, intesa come necessario passaggio maturativo, da quelli più francamente patologici che possiamo rilevare nell’adolescente con problemi, per il quale si pone la necessità di un adeguato aiuto psicoterapeutico.

Dal punto di vista dell’adolescente gli adulti appaiono come i gestori di una struttura di potere e di controllo, gli appartenenti ad una classe privilegiata e tirannica che opprime il mondo intero.

L’adolescente non riesce a dare il giusto valore alla conoscenza ed alle capacità degli adulti; egli ha piuttosto la sensazione che essi siano tutti ipocriti e frodatori, in possesso di qualcosa che non hanno il diritto di possedere, come un’organizzazione aristocratica che tenta di conservare il proprio potere assoluto e prevaricatore.

Per converso i bambini vengono considerati dall’adolescente come prigionieri o servi dei loro stessi genitori, schiavi soprattutto ancora delI’illusione che i loro genitori-padroni conoscano tutto e possano fare tutto, mentre egli si sta sempre più rendendo conto di aver creduto troppo a lungo in falsi Dei, ora delusivamente scoperti impotenti e bugiardi.

La posizione dell’adolescente è quindi piena di disprezzo sia nei confronti degli adulti che dei bambini, cosa che rappresenta anche uno dei principali problemi tecnici per la clinica.

L’adolescente in crisi tende infatti a rifiutare l’aiuto psicoterapeutico per due opposti motivi: sia perché teme una manipolazione da parte di un adulto che, pretendendo di curarlo, potrebbe cercare di imporgli modelli di pensiero e di comportamento inaccettabili e non essere capace di accettare senza reagire le sue rigide critiche al mondo degli adulti; sia perché si rende consciamente o inconsciamente conto che il lavoro psicoterapeutico potrebbe comportare la rivisitazione dolorosa dei propri conflitti infantili, negati o proiettati, e comunque rimossi perché considerati cose da bambini.

L’adolescenza è una fase della vita in cui i dubbi su se stesso, gli interrogativi sulla propria identità, l’insoddisfazione verso il proprio corpo, le tensioni con  i genitori possono costituire dei momenti di transizione difficili.

In alcuni casi  questi aspetti assumono un peso eccessivo, provocando stati di sofferenza che si protraggono o che si estendono fino ad invadere la vita del ragazzo. E’ questo un periodo in cui si costruisce la propria personalità trovandosi ad un bivio tra la possibilità di sviluppare una struttura personale solida e il riuschio di amplificarsi di certe fragilità  e questa una fase in cui si prendono le distanze dai genitori secondo un processo di separazione e individuazione del proprio sé. L’adolescente ha bisogno che gli sia riconosciuta una sua indipendenza, deve prendere le distanze dai genitori per potersi differenziare da loro. L’ambivalenza dunque nel chiedere aiuto ad uno psicologo per superare le proprie crisi evolutive è particolarmente comprensibile in questa fase.

Le tematiche su cui più frequetemente si lavora riguardano:

  • crisi rispetto alla propria identità ( chi sono? cosa provo? non mi riconosco)
  • crisi rispetto al proprio progetto di vita ( cosa voglio? stati di isolamento , traumi come incidenti, traumi sessuali, maltrattamenti, lutti )
  • disagio nelle relazioni con i coetanei (timidezza, rabbia,  difficolta a farsi degli amici)
  • sofferenze in campo amoroso (essere stati lasciati,  nessuno mi vuole, paura del sesso)
  • disagio rispetto al proprio corpo che cambia  o che non corrisponde al corpo ideale
  • dubbi sulla propria identità sessuale (mi paicciono i ragazzi o le ragazze? ho paura di essere gay o di essere lesbica) 
  • tensioni con i genitori ( non mi capsicono, mi trattano come un bambino, non sanno quello di cui ho bisogno, non mi lasciano i miei spazi, non mi lasciano crescere)
  • problemi a scuola  (non mi piace quello che faccio, non mi concentro, sembro stupido)
  • angosce e paure  (terrore di stare da solo, mi blocco, ho il terrore dei giudizi)
  • ossessioni ( non riesco a non pensare a certe cose, accendo e spengo la luce continuamente )
  • pensieri e gesti autodistruttivi (pensieri suicidari, atti autolesionistici, tentati suicidi, anoressia, comportamenti spericolati, abuso di alcol e droghe)
  • somatizzazioni (stati di malessere fisico, mal di testa, mal di pancia, dermatiti)
  • rabbia

Tenterò ora di inquadrare gli aspetti che potremmo considerare fisiologici della crisi adolescenziale facendo riferimento al lavoro di Donald Meltzer. Come gli altri autori di formazione psicoanalitica, Meltzer descrive la situazione psicodinamica dell’adolescenza considerandola come un periodo di crisi dello spazio mentale e della sua integrazione, caratterizzato a suo avviso dalla presenza di un particolare tipo di splitting: da un lato l’invidia per il potere, l’egocentrismo, I’ambizione sfrenata; dall’altro la sensibilità per i deboli, I’idealizzazione dell’altruismo, I’emotività.

Nel tentativo di trovare ed esprimere un proprio nuovo modo di essere l’adolescente oscilla continuamente tra queste due posizioni, vivendo, inoltre, uno stato di grande confusione tra ciò che può portarlo avanti o indietro rispetto a quella che percepisce chiaramente come una scomoda e faticosa situazione intermedia tra infanzia ed età adulta: nel desiderio di staccarsi dalla dimensione infantile, considerata debole e dipendente, I’adolescente teme fortemente la sua stessa grande sensibilità, perchè ha paura che mostrarsi troppo sensibile lo possa far di nuovo scivolare indietro verso l’infanzia e la dipendenza dagli adulti; contemporaneamente, nel desiderio di progredire verso la dimensione adulta, considerata cinica ed assolutista, tende a pensare che l’unico modo di rendersi indipendente sia quello di andare avanti senza pietà sulla strada di un grandioso successo, ed allora scopre la paura di essere costretto a rinunciare completamente alla propria emotività.

In sostanza, secondo Meltzer, I’adolescente si trova a dover gestire una situazione paradossale, in cui tende a considerare ciò che può portarlo realmente avanti verso la maturità psicologica – ovvero la sensibilità e l’interessamento per gli altri, per l’arte e la letteratura, il sognare un mondo migliore ed il desiderio di contribuire alla sua realizzazione, la consapevolezza della propria relativa debolezza ed impotenza e quindi il desiderio di collaborare con gli altri per costruire insieme quello che non si può fare da soli – tende a considerare tutto questo, dicevo, come qualcosa che può farlo precipitare invece indietro.

Si manifesta allora così pienamente uno dei conflitti principali della crisi adolescenziale, che caratterizza una situazione di sofferenza mentale dell’adolescente stesso che potremmo considerare fisiologica. La difficoltà a tollerare ed a risolvere questo conflitto può tuttavia portare l’adolescente ad entrare in un percorso di crisi personale e di sofferenza più grave, tale da porre il problema tecnico della necessità di un aiuto psicoterapeutico.

La richiesta di aiuto in adolescenza non viene quasi mai dall’adolescente stesso, ma ben più spesso ci troviamo di fronte all’invio da parte dei genitori, della scuola, dei tribunali, ecc.; ma esiste anche un notevole numero di adolescenti con problemi per i quali non matura affatto, né come richiesta personale, né per un intervento istituzionale, una domanda di aiuto nel periodo adolescenziale, anche se teoricamente, dal mio punto di vista, un intervento psicoterapeutico potrebbe essere invece tecnicamente necessario, in particolare un intervento che comprenda tutta la famiglia.

Si possono distinguere quattro categorie di ragazzi:

I) I’adolescente che tende a rimanere nella famiglia;
2) l’adolescente che tenta di entrare il più velocemente possibile nel mondo adulto;
3) I’adolescente isolato, che per lo più non sente di essere in difficoltà, ma di cui tutti si preoccupano;
4) I’adolescente che ha problemi nel gruppo dei coetanei.

E’ evidente che la richiesta di intervento riguarda quasi esclusivamente il terzo ed il quarto tipo di ragazzo, per i motivi che dirò tra breve, mentre quasi mai vedremo chiedere aiuto, perlomeno in adolescenza, gli individui delle prime due categorie, che, anche se in modo opposto, trovano per lungo tempo il modo di negare la propria sofferenza mentale.

1) L’adolescente che tende a rimanere in famiglia viene infatti molto spesso favorito in questa sua scelta difensiva dalla famiglia stessa, il che comporta una fissazione al periodo di latenza; il perdurare di una visione del mondo ovattata ed irreale porta questi individui a condurre una vita protetta, riducendo al minimo le esperienze stressanti; essi vanno però frequentemente incontro in età successiva ad un grave crollo psicologico, perlopiù in occasione della nascita di un figlio o della morte dei genitori, crollo che rende spesso necessaria una richiesta di aiuto.

2) Al secondo tipo appartengono gli adolescenti che hanno deciso di andare avanti senza pietà, raggiungendo il più presto possibile il successo e l’indipendenza; questi individui utilizzano fortemente le difese maniacali per liberarsi dall’ansia e da ogni sofferenza, trovando un potente rinforzo narcisistico nel rendere gli altri invidiosi.

Veniamo ora alle due categorie per le quali si pone più di frequente il problema di un adeguato intervento psicoterapeutico più di frequente già in adolescenza.

3) Gli adolescenti isolati sono gli individui in cui si manifesta la situazione psicopatologica più grave, che ha quasi sempre origine da un crollo catastrofale di una troppa intensa idealizzazione dei genitori; l’adolescente si ritira in se stesso, irrigidendosi in un’organizzazione narcisistica autocritica, vivendosi come l’unico garante della propria assoluta autonomia; questi ragazzi possono tendere ad isolarsi restando in famiglia, vivendo una megalomania che potremmo definire <<tranquilla>>, sentendo che hanno una missione da compiere per se stessi e quindi non possono venire a patti con il mondo; oppure possono tendere a vivere ai margini di ogni spazio istituzionale regolamentato, convinti di bastare a se stessi, sviluppando spesso comportamenti devianti o francamente psicopatici; nel primo caso è spesso la famiglia a richiedere l’aiuto psicoterapeutico, mentre nel secondo è più spesso uno dei livelli istituzionali sociali (scuola, tribunale, ecc.).

4) Al quarto tipo appartengono i ragazzi che, pur essendo usciti dal periodo di latenza ed essendo entrati a far parte di gruppi di coetanei, vivono con difficoltà gli intensi processi di identificazione su cui si basa la coesione e l’organizzazione di questi gruppi, fino a manifestare la presenza di problemi nella maturazione psicosessuale della loro personalità; vediamo di capire a che livello si creano questi problemi.

Come sappiamo l’adolescente tende normalmente ad entrare dapprima in un gruppo di pari, cioè “amici” dello stesso sesso, fortemente regolato, dove vive essenzialmente dinamiche di confronto e di potere; poi il prelevare delle spinte puberali porta a successivi distacchi, man mano che si formano le prime coppie con ragazzi o ragazze dell’altro sesso, fino alla dissoluzione dei gruppi omosessuali ed alla costituzione di nuovi gruppi eterosessuali, perlopiù formati da coppie; successivamente anche questi gruppi tendono a dissolversi, man mano che ogni ragazzo o ragazza sceglie la sua strada nella vita e quindi nuove dimensioni di appartenenza più adulte.

Da un punto di vista bioniano potremmo dire che il primo tipo di gruppo presenta un assetto dinamico in cui prevale la posizione schizoparanoide e l’assunto di base di attacco-fuga, mentre nel secondo tipo di gruppo cominciano a prevalere la posizione depressiva e l’assunto di base di accoppiamento; da ciò derivano i diversi quadri psicopatologici che possono giungere alla nostra osservazione.

La maggior parte degli adolescenti per cui si pone il problema di un aiuto psicoterapeutico proviene dal gruppo omosessuale, di cui soffre fortemente le dinamiche competitive e le rigide regole di inclusione-esclusione; in secondo luogo ci troviamo di fronte a ragazzi che non riescono a compiere i passaggi evolutivi da un gruppo all’altro e poi verso la vita adulta; in tutti ritroviamo in primo piano problematiche riguardanti l’immagine di sé e conflitti che derivano dalla difficoltà di gestire la confusione e la conoscenza, nonché naturalmente la difficoltà nel tollerare la sofferenza mentale. Anche nel caso di questa categoria di adolescenti con problemi prevale la richiesta di aiuto da parte delle famiglie o di altri livelli istituzionali; tuttavia oggi non è più così raro che in questo caso la domanda di aiuto provenga anche direttamente dai ragazzi in crisi.

Da quanto abbiamo visto risulta che il problema di dare una adeguata risposta alla richiesta di aiuto psicoterapeutico in adolescenza dipende fortemente dal tipo di ragazzo e di famiglia. Sottolineo la famiglia, perché l’orientamento moderno tende ad affrontare parallelamente, quando non congiuntamente, i problemi del ragazzo e quelli della sua famiglia. 

La psicoterapia dell’adolescente richiede un atteggiamento sufficientemente attivo del terapeuta. Si tende quindi ad escludere l’analisi classica, che può essere casomai consigliata successivamente, in età adulta; si privilegia invece lo strumento della psicoterapia psicoanalitica, sia individuale che di gruppo. In ogni caso il lavoro viene centrato sul tentativo di rimettere in moto il funzionamento mentale e la circolazione degli affetti, cercando di superare la negazione e soprattutto alleviando la necessità di ricorrere alla scissione come meccanismo di difesa.

E’ sempre necessario intervenire sulla famiglia, la cui domanda di cura per l’adolescente va a mio avviso adeguatamente interpretata ed allargata. L’intervento sui genitori si rende poi assolutamente necessario nei casi in cui l’adolescente presenti problemi di anoressia-bulimia o un atteggiamento deviante di tipo psicotico o psicopatico, ed inoltre nei casi in cui sia presente un comportamento violento dei genitori stessi.

Nella terapia analitica dell’adolescente comunque non è tanto importante analizzare il transfert (e qui rimando alla vasta bibliografia in merito alla tecnica), quanto accogliere ed accompagnare il ragazzo o la ragazza nel difficile percorso trasformativo della sua mente e del suo corpo, facilitando la mobilità del pensiero e fluidificando la tendenza alla rigidità rappresentazionale.

Un ultimo punto sul quale vorrei soffermarmi è relativo alla necessità di saper utilizzare appieno con l’adolescente la relazione empatica ed i livelli preconsci del pensiero, evitando ogni tendenza a fornire più o meno dotte interpretazioni o spiegazioni, anche quando sembrano provocatoriamente richieste. L’adolescente ha bisogno di essere aiutato soprattutto ad accettare la presenza del dubbio e dell’ambivalenza nel pensiero, ma difficilmente si può ottenere questo se non immergendosi completamente insieme a lui nelle aree più confuse della sua mente, tollerando insieme a lui la sofferenza profonda che caratterizza la sua situazione psicodinamica transizionale ed affiancandolo nella sua ricerca di una personale via di uscita.

Consultazione Partecipata secondo il metodo di Dina Vallino

A volte i genitori hanno delle teorie sul disturbo del figlio che non corrispondono realmente alla situazione che sta vivendo. Si creano dei fraintendimenti che spesso traggono origine dalle storie familiari dei genitori che vengono proiettate nel figlio, il quale si ritrova a diventare ricettacolo di vissuti non suoi.

Nella consultazione partecipata i genitori rivestono un ruolo chiave in quanto partecipano attivamente all’osservazione del bambino guidata dal terapeuta per poi riparlarne in una seduta separata. Hanno così l’occasione di vedere il bambino per quello che è.

Viene richiesto ai genitori e al bambino di giocare, disegnare insieme  e osservare quello che accade mentre gioca e disegna commentando ciò che fa. E’ necessaria una particolare iniziativa del terapeuta rivolta verso il bambino che renda possibile il loro giocare e osservare.

Si tratta per il terapeuta di far sentire al bambino che lui, che è giudicato in società “rotto” e che si sente “rotto” , è invece considerato dal terapeuta un bambino interessante  cui è rivolta tutta la sua attenzione e comprensione.

Il bambino che si sente capito e ascoltato  e interessante per il terapeuta lascia cadere la rimozione o altre difese e inizierà a disegnare o a giocare in modo più libero: rivelerà qualcosa di sé. Si risveglierà in lui la sua pulsione affettiva e di coseguenza anche nei genitori.. Così si riattiverà tra loro il legame affettivo andato in crisi e motivo dei sintomi.

Il bambino deve poter fare emergere la propria esperienza emotiva e non può farlo se questa non viene compresa dai genitori.

Punto centrale della consultazione è realizzare un contatto col bambino che renda visibile la sua esperienza emotiva per non rischiare che rimanga solo e venga travolto da pensieri ed emozioni irruenti e travolgenti.

Occore per questo prestare attenzione all’atmosfera emotiva che si crea nella stanza, sguardi, gesti movimenti, toni di voce, piccoli dettagli, sfumature che danno il senso di un caos a cui bisogna dare un nome rispondendo in modo delicato e creativo.

Il racconto e la storia inventata rappresentano uno strumento cardine che favorisce lo sviluppo di un “luogo immaginario” nel quale il bambino per sua natura è gia immerso, dove possono essere messi in scena ed elaborati i suoi vissuti.

Consultazione e psicoterapia con i bambini e sostegno alla coppia genitoriale

Nel caso di bambini da zero a due anni occorre lavorare sulla reazione tra il bambino e i suoi genitori ed in particolare con la madre. Il piccolo può comunicare il suo malessere attraverso canali non verbali come il pianto, lo sguardo e alcune azioni motorie. I genitori cercano di immedesimarsi con lui per interpretare i suoi bisogni ma nel farlo possono creare alcune inconsapevoli distorsioni o fraintendimenti. Si fa inevitabilmente i conti con l’immagine dei propri genitori  come si è andata costruendo dentro di sé e in più occorre fare i conti con lo scarto tra il bambino immaginato e quello reale. Madre e piccolo possono trovare una buona sintonizzazione  cioè una certa intesa corporea ed emotiva oppure una depressione materna post partum,  un senso di estraneità verso il proprio figlio, una difficoltà a tollerare la dipendenza del proprio piccolo da sé questo possono determinare alcuni disturbi legati all’alimentazione, disturbi del sonno, pianti inarrestabili.

Alla lunga questo provoca nei genitori un senso di frustrazione, di sofferenza per la condizione del bambino di insicurezza di rabbia verso il piccolo. Gli interventi su bambini cosi piccoli sono il più delle volte risolutivi proprio grazie all’estrema capacità trasformativa che il neonato ha.

Negli anni successivi della crescita si può capire che qualcosa non va se le tappe evolutive presentano dei rallentamenti o dei blocchi. Il coinvolgimento dei genitori è sempre necessario nel trattamento.

Ci possono essere aspetti di disagio naturali e fisiologici durante la crescita per distinguere quello che è normale da quello che non lo è occorre osservare e sintonizzarsi con la sofferenza o le difficoltà che il bambino sta attraversando in quel momento specifico del suo percorso evolutivo affinché il disagio non si cristallizzi.

Problematiche

  • Situazioni di  blocco emotivo
  • disturni alimentari
  • difficoltà nella defecazione o minzione
  • disturbi del sonno
  • aggressività
  • problemi di attenzione concentrazione
  • disturbo del linguaggio
  • problemi di apprendimento
  • isolamento
  • timidezza spiccata
  • gelosia verso un fratellino o sorellina
  • separazione della coppia genitoriale
  • malattia o morte di un genitore

Il bambino si esprime non solo attraverso la parola ma anche tramite il gioco e il disegno, il racconto dove il bambino può esprimere liberamente le proprie angosce, i propri conflitti, il proprio modo di vedere il mondo, se stesso , i suoi familiari e i coetanei.

Le paure e le angosce con cui i bambini devono confrontarsi sono parte del suo percorso di crescita. La più grande delle paure è quella di ritrovarsi da solo in un luogo sconosciuto e abbandonato ed è legata alla paura della perdita dei genitori. La fiaba è basata sul fatto che il protagonista deve affrontare pericoli e sconfiggere chi lo minaccia essendo solo con l’aiuto di qualcuno. Come genitori a volte abbiamo paura di parlare ai nostri figli dei lati tristi e dolorosi dell’esistenza. Pensiamo che non siano abbastanza grandi e che non possano capire. I bambini in realtà capiscono molto più di quello che immaginiamo. Occorre chiaramente trovare un linguaggio adeguato all’età  che hanno, alle loro specifiche caratteristiche e alla loro fase di vita.

Le fiabe possono essere un mdo attraverso il quale affrontare certe tematiche, paure e passaggi evolutivi. La fiaba per esempio affronta spesso il tema della perdita e della morte. I bambini, anche se hanno paura, vedono e rivedono contuamente alcune favole perche hanno bisogno di elaborare, di capire quello che sta succedendo nella loro vita. Hanno bisogno di fantasticare, immaginare  e in questo modo tarsformano le paure e trovano delle soluzioni che gli permettono di andare avanti con la loro vita. Un altro tema importante è quello dell’ambivalenza dei sentimenti.

Ci illudiamo che i nostri figli provino solo amore nei nostri confronti. In realtà hanno sentimenti ambivalenti verso di noi di amore e odio;  per questo la matrigna cattiva e l’orco malvagio rappresnetano quelle parti cattive che riconoscono essere presenti dentro i loro genitori. Questo gli da modo di capire che non sono i soli a provare questo genere di sentimenti. Se un bambino pensa di essere il solo a provare sentimenti negativi finirà in fatti per sentirsi un mostro orribile. Se i genitori sono spaventati dalle manifestazioni di aggressività di un figlio questo le deve trattenere dentro di se temendo di sentirsi un mostro se le prova e le esprime. Le fiabe sono uno spaccato delle paure dei bambini. Se un adulto fatica ad immedesimarsi con le angosce del piccolo questo accade perche a sua volta si è tenuto alla larga dalle sue parti infantili o nemmeno lui le ha mai potute esprimere. Leggere una fiaba per l’adulto diventa il modo per riavvicniarsi a quegli aspetti infantili dimenticati e a creare un terreno condiviso con il piccolo. Attraverso le soluzioni che il protagonista trova  rispetto alle difficoltà e agli ostacoli che incontra anche il bambino comincerà ad immaginare che anche le situazioni più avverse possono essere in qualche modo fronteggiate e sul piano emotivo potrà sentirsi spinto a trovare una personale soluzione alle sue paure. Leggere una fiaba ha un profondo valore  è un momento di intimità e condivisone . Il bambino ha così modo di esprimere i suoi timori. Le fiabe inoltre utilizzano un linguaggio che evoca immagini o ne facilita la creazione così che ogni volta che il bambino la ascolta costruisce un ulteriore pezzetto di elaborazione personale della propria storia.

Consultazione e psicoterapia con le coppie

Quando una coppia funziona favorisce lo sviluppo emotivo e la crescita personale di entrambi i partner. Quando questo benefico effetto viene perso la coppia agisce comportamenti che generano sofferenza reciproca  dove ognuno rischia di concentrarsi solo sulle colpe dell’altro attraverso litigi e discussioni che sovente ripetono lo stesso copione con la sensazione di un’incomprensione reciproca senza fine.

Nell’intervento sulla coppia si cerca di permettere una presa di consapevolezza delle dinamiche di coppia, delle modalità comunicative e delle aspettative inconsce depositate sull’altro.

La terapia mira a ristabilire, recuperare o generare risorse che permettono al legame di divenire fonte di benessere per i partner anziché causa di sofferenza.

L’obiettivo non è necessariamente però quello di tenere unita la coppia a tutti i costi.

In alcuni casi si può anche arrivare a decidere di separarsi.

Le problematiche di coppia possono riguardare il passaggio dall’innamoramento all’amore dove all’idillio iniziale si sovrappone la delusione, a volte troppo elevata, rispetto alle caratteristiche del partner che non piacciono e che sovente sono anche tratti di uno o di entrambi i propri genitori ricercati inconsciamente nel partner e vissuti con ambivalenza.

Il legame di coppia può limitare molto l’indipendenza con il senso di soffocamento che ne può derivare.

L’arrivo di un figlio genera un cambiamento irreversibile nella coppia.

L’equilibrio della coppia viene scosso e uno nuovo se ne deve creare che si dovrà continuamente modificare a seconda della fase specifica di crescita del figlio dall’infanzia all’adolescenza, fase delicata del processo di crescita che rompe gli equilibri familiari e di coppia.

Quando i figli se ne vanno poi la coppia, che per anni ha investito prevalentemente sul ruolo genitoriale, deve ritrovare la propria identità di coppia sentimentale.

A questo si aggiungono le problematiche sessuali che possono assumere significati, forme e conseguenze diverse da coppia a coppia; l’infertilità con i problemi legati al senso di inadeguatezza della coppia, alla rottura dell’intimità, all’invasività dei partner.

Il matrimonio – o in una relazione affettiva duratura e significativa – è una sorta di “relazione terapeutica naturale” da intendersi come il campo di manifestazione delle prime relazioni oggettuali irrisolte. Il coniuge agisce da contenitore di un oggetto interno dell’altro a cui vengono “affidati” aspetti del Sé.

Nelle relazioni di coppia ogni membro può cercare di imporre, consciamente e inconsciamente, una relazione di ruolo intrapsichica al partner in cui assegna un ruolo a se stesso e uno complementare all’altro.

Nel corso di una relazione significativa é possibile infatti osservare in ognuno dei due partner la formazione di un aspetto del sé complementare all’oggetto, ossia quell’aspetto della rappresentazione del sé che si adatta con la rappresentazione dell’oggetto.

In questa prospettiva é stato messo in evidenza non solo il tema dell’uso dell’altro come una dimensione fondamentale all’interno dei rapporti umani ma anche il tema dell’uso della reciprocità nella relazione come “incastro di due mondi interni”.
In questo senso il matrimonio – o comunque un legame affettivo significativo e abbastanza duraturo – potrebbe essere interpretato come il tentativo di risolvere,  in senso propulsivo, oppure regressivo, le tematiche interne individuali.

Si potrebbe forse aggiungere in questa direzione che probabilmente la relazione della coppia adulta “si presta”  a innescare fantasie e attese legate a un “affido reciproco” di aspetti del proprio mondo interno.

Questo “affido” non é da vedersi necessariamente come negativo o patologico. L’altro può essere usato cioè in modo “propulsivo” per conoscersi, crescere, ma può anche essere usato in modo “delirante”. Così come si potrebbe aggiungere può esservi una “compiacenza”, una “disponibilità” dell’altro, nel co-creare una relazione distorta, collusiva.
Queste considerazioni relativamente al fatto che lo stato interno di un soggetto sia regolato tramite il rapporto con l’altro, rendono plausibile ipotizzare che quando una coppia si forma vi é un ingaggio vicendevole e dobbiamo chiederci se esso é all’insegna di un compito evolutivo legato ai processi di individuazione/separazione e di monitoraggio affettivo reciproco o se é “la messa in atto” di una relazione interna che può desiderare di essere tranquillizzata tramite modalità regressive o può, paradossalmente, ricercare una frustrazione.

Possiamo cioè interrogarci sull’uso che viene fatto della relazione se essa é nella direzione di una possibilità di riparazione e di una relazione interna disadattiva o se essa tende a riproporre una relazione, per quanto dolorosa possa essere, al fine di assicurarsi una “prevedibilità” che mantenga la coesione del sé.
Può cioè essere messo in atto un “copione” che si impone sulla capacità di assicurare un senso di sicurezza e comprensione reciproca, o addirittura si innesca una combinazione che determina un circolo vizioso in cui a qualcuno deve essere assegnato il senso di fallimento, di incapacità.

In sintesi, se il processo di “rivisitazione” della propria esperienza interna fallisce nella direzione di non potere mitigare gli aspetti disadattivi delle relazioni interne, potremmo trovarci di fronte a una situazione da leggersi in senso patologico in cui il legame di coppia viene utilizzato come il “luogo” in cui esteriorizzare le dimensioni persecutorie e non ci si può giovare di nuove reintroiezioni.